Il centro antiviolenza in 10 pillole
Pillole per conoscere la Casa delle donne: come uscire dalla violenza e riconoscere la violenza contro le donne.
La riflessione sul binomio violenza/genere matura a partire dagli anni ‘70 all’interno del movimento femminista. È proprio in quegli anni che prendono piede le prime considerazioni sulle diverse modalità attraverso cui si strutturano le relazioni tra uomini e donne e sulla conseguente disparità nella distribuzione del potere tra il maschile ed il femminile. In particolare, la violenza emerge nella riflessione femminista di quegli anni quale strumento principe per il mantenimento del potere maschile e - di conseguenza - per la sopravvivenza del patriarcato. Attraverso la violenza esercitata contro le donne gli uomini esprimono la propria volontà di controllo e dominio, riducendo la soggettività femminile ad ancella dei loro bisogni e delle loro necessità.
A partire da queste considerazioni e dalla definizione di un progetto teso a sovvertire questo equilibrio nascono quindi le prime progettualità legate ai Centri antiviolenza, luoghi di lotta politica, ma anche di accoglienza e sostegno per le donne. Centrale per la filosofia dei Centri antiviolenza è il rifiuto della negazione della soggettività femminile che viene portato avanti attraverso metodologie che puntano al rafforzamento delle donne e alla valorizzazione della loro esperienza. Le donne nei Centri antiviolenza si trasformano da “vittime” a soggetti forti, capaci di autodeterminarsi e di partecipare attivamente alla costruzione di un percorso di uscita dalla violenza per loro stesse e per i/le loro figli/e. La pratica femminista dei Centri antiviolenza è diretta alla ricostruzione della soggettività delle donne attraverso la relazione con altre donne, le loro simili.
Il pensiero e la pratica femminista appaiono quindi centrali nella costituzione dei Centri e nel loro portato di lotta al sessismo, alla discriminazione ed alla violenza contro le donne in qualsiasi sua forma ed espressione. Fondamentale per il lavoro dei Centri antiviolenza è anche l’adozione della pratica femminista che valorizza il lavoro di rete attraverso la “messa in comune” del proprio progetto politico con tutte quelle realtà che ne condividono assunti e premesse.
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La storia dei Centri antiviolenza è legata a doppio filo con quella del femminismo. I Centri sono infatti espressione del femminismo nell’adozione di una lettura sistemica della violenza contro le donne come espressione dell’esercizio di potere del maschile sul femminile, ma sono anche luoghi di attuazione delle pratiche del femminismo tese alla riappropriazione di tale potere.
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UN PROBLEMA PRIVATO?
La violenza contro le donne è stata a lungo considerata un fatto privato, interno alla coppia, e in quanto tale è stata per molto tempo ignorata e sottovalutata. E’ proprio grazie al movimento femminista che il problema della violenza maschile contro le donne inizia ad entrare nell’agenda pubblica, cominciando così a fare luce sull’estensione e la gravità del fenomeno. Ed è ancora grazie al movimento femminista che si inizia a maturare la consapevolezza che per contrastare efficacemente la violenza contro le donne è necessario scardinare l’idea stessa che essa rappresenti un fatto “privato”, interno alla famiglia e alla coppia, irrilevante nella sua dimensione politica e culturale.
Tale ribaltamento di prospettiva risulta necessario non solo perché il riconoscere la violenza in quanto problema sociale legittima i vissuti femminili, ma anche perché richiede l’assunzione da parte delle istituzioni del problema anche attraverso l’identificazione e la definizione di specifiche politiche di intervento atte al suo contrasto. Inoltre, è solo nel momento in cui la violenza esce dalla dimensione privata e assume rilevanza pubblica che può essere riconosciuta in qualità di reato.
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La violenza contro le donne è un fenomeno diffuso, trasversale e riconducibile ad una specifica dimensione culturale. In quanto tale la violenza non è un problema privato di una coppia o di una donna, bensì una istanza collettiva che richiede per il suo superamento la partecipazione dell’intera società.
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LE TAPPE DEL RICONOSCIMENTO DELLA VIOLENZA NEL QUADRO NORMATIVO INTERNAZIONALE
CONVENZIONE SULL'ELIMINAZIONE DI TUTTE LE FORME DI DISCRIMINAZIONE CONTRO LE DONNE (CEDAW, 1979)
La Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW) vieta ogni forma di discriminazione delle donne in tutti gli ambiti della vita ed esige da tutti gli Stati che la sottoscrivono di impegnarsi a mettere in campo tutte le misure necessarie per contrastarla. All’interno della Convenzione è possibile tra l’altro rintracciare: una definizione della discriminazione nei confronti della donna, il principio di parità tra uomo e donna e l’obbligo da parte degli Stati di adottare misure adeguate a garantire tale parità.
DICHIARAZIONE SULL’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE, Organizzazione delle Nazioni Unite, Risoluzione del 1993
La dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne considera "violenza contro le donne" ogni atto di violenza psicologica, fisica o sessuale, basata sul genere, che procuri un danno oppure una sofferenza per le donne: dallo stalking, allo stupro, fino al femminicidio. La Dichiarazione stabilisce l’urgenza di un riconoscimento universale delle donne in quanto “persone umane”, dei loro diritti e dei principi di uguaglianza, sicurezza, libertà, integrità e dignità, iscritti negli atti del diritto internazionale. La Dichiarazione è stata adottata dall’ONU il 20 dicembre 1993, con risoluzione 48/104.
PIATTAFORMA D'AZIONE APPROVATA DALLA 4. CONFERENZA MONDIALE SULLE DONNE DI PECHINO (1995)
Nel 1995 a Pechino, nel corso dell’ultima di una serie di conferenze mondiali sulle donne (Città del Messico, 1975; Copenhagen, 1980; Nairobi, 1985) fu stabilita una precisa piattaforma d’azione: un documento costituito da 362 paragrafi suddivisi in sei capitoli, nel quale venivano elaborate dodici aree critiche per la promozione dei diritti della donna, alle quali venivano fatte seguire una serie di linee guida su alcuni temi chiave (diritti umani delle donne, violenza, salute, economia, povertà, educazione e formazione, diritti delle bambine, etc.). Le aree critiche identificate all'interno della piattaforma nel 1995 ancora oggi racchiudono alcune delle sfide più importanti per il raggiungimento di una società equa e rispettosa dei diritti delle donne.
PRIMO RAPPORTO MONDIALE SU VIOLENZA E SALUTE DELL'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’ (2002)
Pubblicato nel 2002, il rapporto mondiale su violenza e salute rappresenta il primo studio sistematico dei dati relativi alla diffusione della violenza contro le donne a livello mondiale da parte di un organismo internazionale. Il rapporto considera sia la violenza inflitta da parte dei partner, che quella agita da sconosciuti e mette in evidenza come la violenza sia una esperienza condivisa da oltre il 35% della popolazione femminile mondiale. Inoltre, lo studio dimostra come la violenza venga maggiormente agita da persone appartenenti alla sfera familiare delle donne e rimarca la necessità di condannare qualsiasi forma di violenza contro le donne, sostenere coloro che ne sono rimaste vittime e lavorare assieme per promuovere l’eradicazione della violenza.
CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA - ISTANBUL 2011
La Convenzione di Istanbul è cronologicamente l’ultima azione intrapresa sul tema della violenza contro le donne, questa volta però a livello europeo e non globale, e rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali si applicano le medesime norme di tutela.
Per entrare in vigore, la Convenzione deve attendere la ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del Consiglio d'Europa. L'Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012 e il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77 del 2013. Ad oggi la Convenzione è stata firmata da 32 Stati e ratificata da 8.
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Numerose sono le tappe che sono state percorse verso la definizione di un quadro normativo sulla violenza contro le donne a livello internazionale. Ultima tra queste la Convenzione di Istanbul, un documento fondamentale perché giuridicamente vincolante per gli stati che la ratificano.
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Nei mesi di maggio e giugno 1985 a Bologna vi furono due casi di stupro contro tre ragazze minorenni. Alcune assemblee convocate presso il Centro di documentazione delle donne diedero origine a un dibattito sulla violenza contro le donne che subito evidenziò la carenza di strutture in città per quelle che subivano una qualsiasi forma di violenza. Si formò un gruppo di donne che cominciò a incontrarsi regolarmente presso il Centro delle donne che elaborò una proposta, da presentare agli Enti locali, per una struttura cittadina in grado di accogliere e aiutare concretamente le donne che subiscono violenza, con le/i loro bambine/i.
Da una prima indagine sui Centri di donne operanti in Italia, emerse subito che nel nostro paese esistevano numerosi centri di consulenza legale, ma mancavano del tutto i Centri antiviolenza e le Case Rifugio, esperienza che invece all’estero, già in quegli anni, godeva di una storia più che decennale.
Il gruppo si orientò verso la richiesta di un finanziamento pubblico, credendo nella necessità di creare “istituzioni femminili“ che segnassero politicamente le istituzioni con una presenza di donne autorevoli e con una contaminazione proveniente dal femminismo. La costituzione del gruppo in Associazione e, parallelamente, la sottoscrizione nel 1990 di una convenzione con il Comune e la Provincia di Bologna sono stati i due momenti fondanti di un percorso che ha visto da una parte un grosso impegno di relazione con quelle donne all’interno delle istituzioni che hanno creduto nel progetto, e dall’altra il riconoscimento e la valorizzazione di uno spazio femminile autonomo e autogestito. Una pratica che a Bologna aveva trovato un importante antecedente proprio nell’esperienza decennale del “Centro di documentazione e ricerca delle donne”.
E’ attraverso questo percorso che nel 1990 si arriva all’apertura della Casa delle donne per non subire violenza un luogo di accoglienza che, oltre ai servizi di ascolto e consulenza legale, può offrire alle donne che subiscono violenza ospitalità presso una casa rifugio e un'intensa promozione culturale verso un cambiamento politico.
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La Casa delle donne è un luogo in cui le donne che subiscono violenza possono trovare ascolto e aiuto al fine di compiere un percorso di uscita dalla violenza. La scelta di poter anche ospitare le donne e i loro figli/e all’interno delle Case rifugio riflette la volontà di offrire un aiuto pratico alle donne in pericolo permettendo a tutte di avere una possibilità concreta di fuoriuscita dalla violenza.
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LE ATTIVITA’ DELLA CASA DELLE DONNE
I servizi offerti dall’associazione sono:
- Settore Accoglienza telefonica, personale e di gruppo, anche in una sede decentrata ad Anzola dell’Emilia;
- Settore Ospitalità: case rifugio a indirizzo segreto; case di emergenza; alloggi di transizione;
- Settore Olas – Oltre la Strada: Progetti di uscita dallo sfruttamento sessuale e lavorativo; ospitalità;
- Servizio specialistico di Psicologia: sostegno psicologico ed educativo ai/lle minori; sostegno alla genitorialità per le madri; sostegno ai genitori di giovani ragazze maltrattate/abusate dal fidanzato; psicoterapie individuali e di gruppo sul trauma;
- Servizio specialistico Legale: consulenze e informazioni di gruppo di avvocate civiliste e penaliste formate e specializzate;
- Servizio specialistico di orientamento lavorativo, alla sanità, corsi di italiano
- Settore Formazione: formazione, sensibilizzazione, prevenzione, educazione di genere per centri antiviolenza, professionisti/e, forze dell'ordine, nelle scuole e nei contesti educativi
- Settore Promozione, Comunicazione e fundraising: eventi culturali e di sensibilizzazione; Festival La violenza Illustrata; raccolta fondi
- Ricerche: Osservatorio sui dati delle donne accolte, femicidio, dati di attività
- Politiche di rete: Tavolo contro la violenza, Coordinamento dei Centri antiviolenza dell'Emilia-Romagna, D.i.Re, Wave, Global Shelter Network, Cismai, Associazione Malala.
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Oltre ai servizi di sostegno alle donne e ai/alle loro figli/e la Casa delle donne promuove numerose attività di prevenzione, sensibilizzazione e educazione sui temi della violenza di genere. Dal 2005 la Casa organizza ogni anno il Festival della Violenza Illustrata, un insieme di iniziative culturali organizzate intorno al 25 novembre – Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – per promuovere maggiore consapevolezza e conoscenza di questi temi.
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CHI SONO LE OPERATRICI DELLA CASA DELLE DONNE?
Le socie, operatrici e volontarie della Casa delle donne sono innanzitutto donne che vogliono, attraverso il loro lavoro e il loro impegno quotidiano, partecipare ad un progetto politico di rifondazione sociale che mira alla costruzione di una società nella quale le donne possano vivere libere, senza discriminazione e violenza. Le operatrici lavorano in équipe per garantire alle donne che si rivolgono loro il più alto livello assistenziale possibile. In particolare all’interno della Casa delle donne operano:
Operatrici
Le operatrici sono le figure professionali che si occupano del funzionamento di tutti i servizi offerti dall’associazione offrendo alle donne vittime di qualsiasi forma di maltrattamento e violenza (violenza domestica, violenza sessuale, stalking, violenza psicologica, abusi, etc.) percorsi di sostegno, protezione e supporto emotivo. Fondamentale nel lavoro svolto dalle operatrici di Casa delle donne è l'attività di counseling volto al riconoscimento delle violenze e all'assunzione della consapevolezza di esse. Assieme alle donne in difficoltà le operatrici promuovono percorsi mirati all'empowerment e al recupero dell'autostima: un lavoro centrale per facilitare i percorsi di uscita dalla violenza. Oltre a questi aspetti attraverso il loro lavoro, la Casa delle donne può: garantire ascolto telefonico e colloqui personali con le donne in difficoltà; attivare lavori di gruppo; seguire il percorso delle donne e dei minori ospiti nelle casa rifugio o negli appartamenti di transizione in concerto con i servizi territoriali; facilitare la relazione tra le donne ospiti delle Case e il difficile mondo del lavoro; garantire assistenza e supporto alle donne vittime di tratta e sfruttamento; promuovere attività di comunicazione e fundraising, stabilire relazioni con i donatori, promuovere campagne di raccolta fondi e progetti di sensibilizzazione.
Psicologhe
Il servizio specialistico di psicologia è rivolto a donne che hanno subito violenza nelle relazioni di intimità; a bambine, bambini e adolescenti che hanno subito e/o assistito alla violenza e ai genitori di minori vittime di violenza extrafamiliare. Offre percorsi di sostegno alla genitorialità e percorsi di psicoterapia individuale o di gruppo focalizzati sull’elaborazione delle esperienze traumatiche.
E’ composto da psicologhe e psicoterapeute con una formazione specialistica sul trauma e sulla violenza ai/alle minori. La metodologia di intervento specialistica fa riferimento alle linee guida internazionali e nazionali (promosse dal Coordinamento Italiano dei servizi contro maltrattamento e l’abuso all’infanzia - CISMAI) e le integra con la metodologia propria dei centri antiviolenza. Alcune terapeute hanno anche una formazione sul metodo psicoteraeutico EMDR (Eyes Movement Desensitization and Reprocessing), tecnica interattiva e standardizzata che affronta i ricordi non elaborati legati ad esperienze traumatiche, che possono dare origini a molte sofferenze psichiche.
Avvocate
Le avvocate, sia di campo civile che penale, sono specializzate in materia di violenza di genere e nella difesa delle donne e dei/delle loro figli/e minorenni. Ogni settore di Casa delle donne, compreso la consulenza legale, opera in sinergia con l’obiettivo di assicurare a ciascuna donna un intervento mirato e specifico per la sua protezione e la tutela dei diritti della madre e dei/delle figli/figlie minori coinvolti.
Formatrici
Le formatrici sono esperte della Casa delle donne che hanno sviluppato capacità didattiche e di comprensione del lavoro di rete, e che operano per promuovere un cambiamento effettivo nella professionalità delle varie categorie. Soltanto attraverso la formazione, infatti, si può creare una rete esperta che permetta lo scambio tra le diverse culture disciplinari e professionali, superando l’ottica ristretta a favore del raggiungimento dell’obiettivo comune, le cosiddette quattro P: Proteggere le vittime, Punire gli autori, Prevenire la violenza e Pianificare l’intervento a breve, medio e lungo raggio.
Servizi civili e Volontarie
Tutti servizi offerti dalla Casa delle donne non potrebbero essere realizzati senza il supporto di un nutrito gruppo di socie e volontarie che sostengono tutte le attività dell’organizzazione, insieme all’impegno di giovani donne partecipanti al programma di servizio civile universale promosso dal governo italiano e tirocinanti delle Università.
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La Casa delle donne si avvale dell’esperienza di operatrici, socie, professioniste e volontarie che attraverso il loro impegno quotidiano garantiscono la qualità del supporto fornito condividendo nella loro pratica di lavoro i principi di autodeterminazione, libertà delle donne, empowerment.
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A partire dalla fine degli anni 70 in Italia comincia una riflessione politica sull’esperienza delle donne all’interno della società espressione del movimento femminista, del lavoro dei collettivi e delle associazioni che in quegli anni rivendicano il riconoscimento della dimensione strutturale della violenza agita contro le donne e che porteranno, all’inizio degli anni ‘90, alla costituzione dei primi Centri Antiviolenza con annesse casa rifugio aperte a Bologna, Milano, Modena e Merano.
Sin da quelle prime esperienze i Centri Antiviolenza si configurano come luoghi entro cui le donne che hanno subito violenza trovano accoglienza, ascolto, relazione e opportunità di rielaborazione. Luoghi costituiti da sole donne entro cui il ciclo della violenza viene spezzato attraverso la costituzione di una duplice alleanza: quella stabilita con la donna accolta e quella messa in piedi con la rete dei servizi territoriali coinvolti nella risposta ai bisogni della donna.
Attraverso il loro lavoro i Centri si configurano come luoghi di resistenza alla violenza, ma anche come spazi di lotta e progettazione politica incentrati sul rifiuto della misoginia e sulla proposta di un cambiamento culturale in grado di intervenire sulle cause strutturali che determinano la subordinazione delle donne, suggerendo rivisitazioni critiche di quello che viene passato come normale nella relazione tra donne e uomini.
In molte città si sono costituite reti o tavoli istituzionali per favorire il coordinamento di tutti gli enti coinvolti nell’accoglienza alle donne che subiscono violenza: i centri antiviolenza, le forze dell'ordine, i pronto soccorsi, i servizi sociali, le procure e altre agenzie competenti sul tema.
In Emilia-Romagna, fin dai primi anni '90 si è costituito il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell'Emilia-Romagna , formalizzatosi poi in associazione legalmente riconosciuta nel 2009, fondato dai centri antiviolenza gestiti da associazioni autonome di donne, che ha come obiettivo la condivisione di metodologie, la formazione, le buone prassi e visibilità politica a livello regionale in particolare ponendosi come interlocutore con la Regione Emilia-Romagna che ne ha riconosciuto il ruolo nella Legge Quadro per la Parità e contro le Discriminazioni di genere del 2014. Attualmente il Coordinamento è composto da 15 associazioni, attive nel contrasto alla violenza contro donne.
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I Centri Antiviolenza sono luoghi di accoglienza impegnati a fare emergere e contrastare la dimensione della violenza maschile contro le donne. Sono spazi di impegno quotidiano e di lotta politica dove la violenza viene rifiutata ed i ruoli di genere tradizionali messi in discussione.
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I SERVIZI DEI CENTRI ANTIVIOLENZA
I centri antiviolenza si fanno carico delle donne che hanno subito violenza e dei loro figli/e attivando i servizi del territorio e nelle reti territoriali. Tra i vari servizi dei centri si annovera:
- Accoglienza e ascolto telefonico;
- Colloqui di accoglienza;
- Informazioni e consulenza legale con le avvocate dei Centri;
- Consulenza psicologica per le donne e – qualora si reputi necessario per i/le loro figli/;
- Accompagnamento nella ricerca di una soluzione abitativa;
- Accompagnamento nella ricerca di un inserimento lavorativo;
- Gruppi di sostegno e di auto-aiuto;
- Interventi specifici per le donne migranti;
- Servizi specialistici per donne vittime di sfruttamento sessuale e tratta;
- Ospitalità di emergenza di breve periodo;
- Ospitalità nelle case rifugio di medio periodo;
- Ospitalità in alloggi di transizione di lungo periodo;
- Progetti con i/le figli/e delle donne vittime di violenza diretta o assistita;
- Attività di formazione;
- Attività di prevenzione e sensibilizzazione;
I servizi offerti dai centri antiviolenza sono gratuiti, basati sulla riservatezza e mirano a rispondere tendenzialmente a tutti i bisogni delle donne e dei loro figli/e.
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I centri antiviolenza mettono in campo una serie di servizi utili a favorire l’uscita delle donne dai vissuti di violenza. Ciascun servizio viene portato avanti mantenendo al centro il portato delle donne.
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LA RETE D.I.RE
Nel 2008 nasce l’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, la prima associazione nazionale di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne fondata in Italia. La rete si propone come un raccordo di confronto e di sintesi delle diverse esperienze maturate all’interno dei Centri e delle Case delle donne che nel tempo vi hanno aderito. Centrale per le realtà che convergono nella rete è l’affrontare il tema della violenza maschile sulle donne nell’ottica della differenza di genere che si fonda nella disparità di potere tra uomini e donne nei diversi ambiti sociali.
La missione della rete D.i.Re è quella di dare visibilità alla metodologia dei centri antiviolenza e alle Case delle donne, proporsi come interlocutrice delle istituzioni nazionali ed internazionali per facilitare e indirizzare l’elaborazione e/o la modifica di normative e piani d’azione relativi ai diritti delle donne, diffondere buone pratiche di contrasto alla violenza, rafforzare l’attività dei Centri e delle Case delle donne, ampliare la rete. Punto di forza dell’associazione è il vasto patrimonio di saperi, pratiche e procedure sviluppati dalle diverse realtà associative che ne fanno parte.
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La rete D.i.Re. conta al suo interno più di 80 Centri Antiviolenza e rappresenta una delle voci più autorevoli in Italia sulla violenza contro le donne. Attraverso le sue attività la rete D.i.Re ha come obiettivo fondamentale quello di far conoscere l’entità e la gravità della violenza contro le donne per innescare un cambiamento culturale di trasformazione all’interno della società italiana.
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L’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite definisce la violenza contro le donne come:
“ogni atto di violenza fondato sul genere che comporti o possa comportare per la donna danno o sofferenza fisica, psicologica o sessuale, includendo la minaccia di questi atti, coercizione o privazioni arbitrarie della libertà, che avvengano nel corso della vita pubblica o privata” (art.1)
Declaration on the elimination of violence against women, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 20 dicembre 1993, New York
Centrale in questa definizione è la multidimensionalità che la violenza maschile contro le donne assume. Non esiste, infatti, un unico tipo di violenza possibile, ma spesso le donne che subiscono violenza si trovano a dover sostenere abusi di vario tipo e natura, che possono cambiare nel corso del tempo all’interno della relazione con il loro maltrattante.
La violenza contro le donne, come è ben ricordato dalla Convenzione di Instabul (2011), è un fenomeno specifico, che si sviluppa all’interno di rapporti di forza diseguali e che ha come obiettivo la subordinazione di una parte della società rispetto ad un altra. Il testo della Convenzione riporta:
“Riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione;
Riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini;
Riconoscendo che le donne e le ragazze sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini; Riconoscendo che la violenza domestica colpisce le donne in modo sproporzionato e che anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica.”
La violenza contro le donne non è sempre semplice da riconoscere, ma è molto più diffusa di quanto non possa sembrare. I meccanismi che la regolano appaiono centrali per il mantenimento dei rapporti di forza tra uomini e donne e pertanto spesso la violenza viene interiorizzata e non immediatamente individuata.
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Non esiste un solo tipo di violenza. Le donne possono essere derise, umiliate, spaventate, maltrattate, ricattate, sfruttate aggredite verbalmente o fisicamente, impoverite, perseguitate, picchiate, stuprate, ridotte in schiavitù e financo uccise all’interno della stessa relazione con il proprio partner o ex-partner. La violenza, qualsiasi forma assuma, non è mai accettabile o scusabile.
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TIPI DI VIOLENZA ESERCITATI DAL PARTNER, EX PARTNER O ESTRANEI
La violenza maschile contro le donne si manifesta in molteplici forme e manifestazioni e può variare di intensità. Si parla di continuum della violenza in quanto le diverse forme di violenza possono essere collegate tra di loro. In termini generali la violenza contro le donne può essere ricondotta ad atti di:
- Violenza fisica;
- Violenza sessuale;
- Violenza psicologica;
- Violenza economica;
- Intimidazioni e minacce;
- Isolamento della vittima;
- Assumere un ruolo di dominio nella relazione;
- Usare i/le figli/e per controllare la partner;
- Negazione, minimizzazione e colpevolizzazione;
- Violenza per motivi “d’onore” e matrimoni forzati;
- Violenza assistita da parte dei figli;
- Abusi sessuali sui minori;
- Stalking, ovvero persecuzioni;
- Matrimonio coatto, matrimoni riparatori;
- Mutilazioni sessuali femminili;
- Tratta e prostituzione forzata;
- Molestie sessuali;
- Sterilizzazione forzata;
- Stupro di guerra;
- Femminicidio.
Il femicidio (femminicidio), ovverosia l’uccisione di una donna per motivi di genere, rappresenta la forma più estrema di violenza sulle donne.
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La violenza contro le donne è trasversale all’età, alla classe sociale, al livello di educazione e all’area geografica di appartenenza delle donne. La violenza contro le donne riguarda tutte le donne ed è un fenomeno diffuso che per essere contrastato necessita di una presa di coscienza e cambiamento culturale di tutta la società e di politiche nazionali e locali in campo educativo, giuridico e assistenziale attraverso un approccio olistico.
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IL CICLO DELLA VIOLENZA
Il ciclo della violenza viene teorizzato nel 1979 da Leonore Walker che identifica 3 fasi nell’evoluzione della violenza contro le donne da parte del partner, in particolare in caso di maltrattamento.
La prima fase è caratterizzata da un accumulo di tensione: l’uomo comincia a innescare una serie di litigi per questioni di poca importanza, colpevolizzando la donna di essere inadeguata a ricoprire il suo ruolo di moglie/compagna/madre. In questa fase l’uomo aggredisce la donna non fisicamente bensì psicologicamente, inducendo nella donna sentimenti di inadeguatezza rispetto alla sua partecipazione alla vita della coppia. La pressione emotiva e psicologica è altissima, così come lo sforzo della donna nel rispondere alle richieste del partner agendo nella convenzione che i comportamenti dell’uomo siano solo transitori.
La seconda fase identificata corrisponde alla fase in cui la tensione maturata sfocia nell’esercizio di veri e propri atti di violenza fisica. Tale fase corrisponde all’avvertito senso da parte dell’uomo di stare perdendo il controllo sulla donna, controllo che viene ristabilito attraverso l’agito violento. In questa fase l’atto di violenza viene ancora percepito dalla donna come un evento eccezionale che non va a minare la progettualità di coppia o familiare. Anche in questo caso la donna mette in campo tutta una serie di comportamenti tesi ad evitare la violenza e difficilmente, soprattutto all’inizio del ciclo, riterrà necessario chiedere aiuto all’esterno.
Infine, nella terza e ultima fase, che Walker chiama della “luna di miele”, l’uomo, preso dai sensi di colpa e spaventato dalla possibilità di perdere del tutto il controllo sulla donna, chiederà scusa assicurandole che non ricorrerà più alla violenza. Questa ultima fase è una delle più pericolose, perché – mirando alla ricostruzione di una condizione di apparente serenità e idillio familiare – suggerisce che la violenza possa effettivamente rappresentare un momento di eccezionalità e non un problema di tipo strutturale. La durata della luna di miele non è praticamente mai infinita: la violenza tornerà a ripetersi ed ogni volta con una intensità maggiore alla precedente.
Questo aggravarsi in maniera esponenziale degli atti violenti rappresenta quello che Liz Kelly (1980) ha definito il continuum della violenza ovverosia il progredire degli agiti violenti da gesti percepiti all’apparenza “meno” gravi fino a giungere, nei casi più estremi, al femminicidio.
LA RUOTA DEL POTERE E DEL CONTROLLO
La “Ruota del Potere e del controllo” è un modello esplicativo adottato dalla comunità internazionale come il più valido per svelare i meccanismi della violenza domestica. Negli anni ’80, Duluth, una città del Minnesota, è stata all’avanguardia sia sulla responsabilizzazione degli uomini che usano violenza, che sulla protezione delle vittime. Il “Duluth Model” è una metodologia in continua evoluzione nella progettazione di una comunità che lavora insieme per far cessare la violenza. La violenza nelle relazioni di intimità si presenta come un insieme di comportamenti che tendono a stabilire e a mantenere il controllo sulla donna e a volte sui/lle figli/e. E’ una vera e propria strategia in cui l’intenzione dell’autore è di controllare, punire, intimidire o dominare la vittima. La violenza fisica e sessuale sono solo gli aspetti più evidenti, il vero motore è l’utilizzo del potere e del controllo. Non si tratta di “momenti di rabbia”, o di “perdite di controllo”, ma di un comportamento scelto e intenzionale da parte del maltrattante. La violenza viene vissuta invece dalla donna coinvolta come un intreccio indistinto di comportamenti abusanti
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La violenza contro le donne da parte del partner o dell’ex partner non è mai episodica ma dura nel tempo crescendo di gravità e frequenza. Gli agiti violenti non sono mai accidentali: sono al contrario il prodotto di scelte intenzionali. La violenza contro le donne è sempre riconducibile ad una dimensione di potere e di controllo dell’uomo sulla donna.
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La donna che si rivolge al Centro antiviolenza troverà ad accoglierla uno spazio entro cui potrà raccontarsi e trovare aiuto concreto ai propri problemi. Fondamentale, per il raggiungimento di questi obiettivi, è la capacità del centro antiviolenza di veicolare il messaggio alla base del proprio operato che si fonda su due principi imprescindibili:
- nessun tipo di violenza può essere mai giustificata,
- la responsabilità della violenza appartiene esclusivamente alla persona che l’ha agita.
Per questa ragione le risposte che la donna troverà al proprio racconto da parte delle operatrici della Casa delle donne saranno sempre non giudicanti e comprensive rispetto ai suoi bisogni.
Le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza sono donne che molto spesso vi arrivano al termine di un lungo percorso di presa di consapevolezza, ma anche di tentativi di uscita. Tra l’insorgere del primo gesto violento ed il momento in cui decide di rivolgersi ad un Centro antiviolenza spesso una donna è stata più e più volte oggetto di violenze ed aggressioni. Spesso le donne che approdano ad un Centro antiviolenza hanno già alle spalle diversi tentativi pregressi di uscita e hanno già domandato aiuto altrove.
Nonostante ciò le operatrici sono pienamente consapevoli che la maggioranza delle donne fa fatica a parlare del proprio vissuto di violenza e a nominare le prevaricazioni subite perché spesso ne prova vergogna.
Per questa ragione la metodologia proposto dalla Casa delle donne si basa su un approccio centrato interamente sulla donna. Fin da subito le vengono ascoltate affinché esprimano i loro bisogni e le loro esigenze sono al centro di ogni azione che verrà intrapresa. Attraverso il percorso di accoglienza viene permesso alle donne di riprendere il controllo della propria vita, nella piena consapevolezza di essere credute e sostenute nel proprio percorso di libertà.
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I Centri antiviolenza sostengono le scelte delle donne, i tempi delle donne, i loro vissuti, senza imporre scelte che non siano direttamente maturate e prese dalle stesse donna.
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LA METODOLOGIA DEI CENTRI ANTIVIOLENZA
La donna gioca un ruolo centrale nella definizione del proprio percorsi di uscita dalla violenza. Ogni storia merita di essere esaminata nella sua specificità e ogni percorso di uscita deve essere concordato con la donna. La relazione tra il Centro antiviolenza e la donna funzionerà solamente se la donna verrà chiamata a svolgere un ruolo attivo nel processo decisionale che la riguarda e se verrà messa in grado di partecipare in prima persona alla definizione delle misure necessarie a garantire la sua sicurezza e a quella dei suoi/sue eventuali figli/e.
L’avvio del percorso di accoglienza si deve basare sulla valutazione del rischio che la donna corre nel momento in cui si rivolge al centro, cercando di raccogliere tutti gli elementi che permettono di comprendere appieno la pericolosità della situazione in cui si trova a vivere. Tale processo deve essere seguito dalla definizione di un piano di realtà entro cui l’operatrice e la vittima accolta ricostruiscono le risorse che la donna ha a disposizione e gli ostacoli che dovrà affrontare nel suo percorso di uscita dalla violenza.
Fondamentale in questa prima fase è la capacità della donna di ritornare a valorizzare sé stessa attraverso un lavoro che le permetta di riconoscere i suoi punti di forza ed il suo potenziale. Uno degli effetti principali prodotti dalla violenza è quello di erodere la capacità delle donne di credere in loro stesse. Dopo anni di soprusi, umiliazioni e violenze le donne spesso si sentono incapaci ed inadatte a poter portare avanti un progetto per loro stesse, fondato sulle loro capacità. Il lavoro delle operatrici è quello di permettere alle donne di intravedere il loro potenziale e di indirizzarle verso la sua riscoperta: il percorso appartiene alle donne, con il Centro antiviolenza che le sostiene passo passo in questo suo percorso.
Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza non solo riacquistano fiducia in loro stesse, ma comprendono che non sono sole e che la violenza, per essere pienamente compresa e rifiutata, deve essere riconosciuta dalle donne come espressione di una dimensione strutturale non legato alla loro singolarità.
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Le donne che si rivolgono alla Casa delle donne incontreranno operatrici con cui avranno colloqui riservati e confidenziali. Le donne vengono sostenute nelle scelte e nella definizione del loro percorso. Se dovessero decidere di continuare la relazione violenta o tornare a vivere con gli uomini che hanno esercitato loro violenza saranno sempre le benvenute all’interno della Casa e accolte ancora se dovessero trovarsi nuovamente nella posizione di dover chiedere aiuto.
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PERCHÉ LE DONNE HANNO DIFFICOLTÁ A DENUNCIARE?
Molto spesso ci si domanda come mai le donne vittime di violenza facciano fatica a denunciare o querelare i propri partner o ex-partner.
Il primo fattore per cui le donne hanno difficoltà a denunciare è perché spesso hanno il timore, fondato su di una lunga storia di violenze e soprusi, che il maltrattante possa vendicarsi su di loro. Le donne vittime di violenza sono state spesso minacciate a lungo e sono perfettamente consapevoli che la persona che andrebbero a denunciare ha la capacità di fare loro del male. L’atto della denuncia potrebbe essere visto come un atto di sfida o come una provocazione da parte del maltrattante e per questo le donne ne hanno paura.
In secondo luogo, le donne possono avere timore a dover affrontare il maltrattante, o lo stupratore durante il processo e dover raccontare quanto loro accaduto perché spesso ne provano vergogna.
Il lungo percorso di convivenza con la violenza porta inoltre le donne oggetto di violenza a minimizzazione il proprio trauma considerandolo così non materiale sufficiente per intavolare un procedimento contro il maltrattante. La minimizzazione dell’esperienza della violenza è lo strumento che ha permesso alla donna di tollerare le violenze subite per lungo tempo e quindi è molto importante riuscire a scardinarle.
Le donne hanno paura a denunciare anche in ragione di precedenti tentativi di uscita dalla violenza non hanno funzionato, perché provano timore per quanto potrebbe accadere ai loro figli e figlie, perché hanno perso fiducia nell’efficacia della denuncia, perché dipendono dal maltrattante sia economicamente che psicologicamente, perché subiscono pressioni da parte della propria famiglia e della propria comunità o per il prodotto di più di questi fattori combinati.
Le donne sanno che il percorso giudiziario in Italia ha tempi incerti, ma comunque lunghissimi, non garantisce l’incolumità, non hanno fiducia nelle istituzioni in quanto il processo potrebbe portare a una vittimizzazione secondaria senza garantire alcuna tutela alla donna.
Infine, le donne spesso desiderano solamente poter dimenticare quanto accaduto loro e poter aprire un nuovo capitolo delle proprie vite lontane dalla violenza.
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Denunciare la violenza in Italia è complicato e provoca paura e incertezze. La Casa delle donne, valuta insieme alla donne i vantaggi e svantaggi della denuncia ma non forzerà la donna a denunciare se non fosse una sua libera scelta. Le donne scelgono di non denunciare per motivi molto importanti ed è rilevante comprenderne le ragioni e sostenere le loro scelte.
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Le Case rifugio sono appartamenti, ad indirizzo segreto o riservato, entro cui le donne che necessitano di sottrarsi alla violenza del proprio partner o ex partner trovano ospitalità ed accoglienza anche in presenza di eventuali figli/e. Le case rappresentano uno degli strumenti più importanti attorno a cui ruota il lavoro della Casa delle donne in quanto possono offrire ospitalità alle donne in situazioni d’emergenza, ovverosia nei casi che il loro allontanamento dall’abitazione famigliare sia ritenuto urgente perché a rischio per la loro incolumità. Le Case rifugio possono però offrire anche ospitalità di medio/lungo periodo, così da poter permettere alle donne di ricostruire la stabilità e l’indipendenza necessarie per ricominciare una vita autonoma.
Le Case rifugio ospitano a titolo gratuito donne maggiorenni, con o senza figli e figlie, italiane o migranti che necessitano di ospitalità a causa delle violenze subite.
La Casa delle donne garantisce in questo momento tre forme di ospitalità differenti, il cui accesso è legato alla tipologia di sostegno di cui le donne hanno bisogno. Il primo tipo di struttura sono case a ad indirizzo segreto ad ingresso immediato entro cui vengono ospitate donne che hanno urgente necessità di allontanarsi dalla propria abitazione. Questo tipo di alloggio ha carattere emergenziale e prevede un periodo di permanenza inferiore ai 2 mesi. Il secondo tipo di alloggio, anch’esso ad indirizzo segreto, prevede un ingresso della donna programmato attraverso il percorso di accoglienza per un periodo di ospitalità che va dai 6 agli 8 mesi. Infine, l’ultimo tipo di alloggio rappresenta una sistemazione di transizione verso la vita al di fuori delle case rifugio e prevede un’ospitalità di medio-lungo periodo per un periodo compreso tra uno e due anni.
Come si accede alle case rifugio?
L’accesso alle case rifugio avviene principalmente attraverso tre modalità: su richiesta diretta della donna, attraverso il percorso in accoglienza; su richiesta del Pronto Intervento Sociale, dell’Asp o di altri servizi territoriali o in seguito alla presa in carico della donna tramite l’ospitalità in emergenza.
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La Casa rifugio è la risposta concreta che offrono i Centri antiviolenza alle donne che in seguito ad atti di violenza si trovano a dover fare i conti di dovere lasciare la propria abitazione per le violenza subite, o non volere o non potere più rientrarvi. L’ospitalità per le donne e gratuita e le donne entrano volontariamente per loro scelta, con o senza i loro figli/e minorenni.
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COSA SIGNIFICA PER UNA DONNA ENTRARE IN UNA CASA RIFUGIO
Entrare in una Casa rifugio per le donne rappresenta sicuramente la possibilità di avere una opportunità concreta di interrompere il ciclo di violenze a cui sono soggette, ma allo stesso tempo si configura come uno dei momenti di passaggio più complessi del suo percorso.
Per le donne infatti entrare in una casa rifugio significa lasciare il proprio maltrattante, spesso è anche il padre dei/delle propri/e figli/e. Quella con il maltrattante è una relazione altamente complessa, fatta di violenza ma anche di attaccamento, di affetto, di dipendenza. Le donne possono essere percorse da sentimenti di sollievo, ma anche di mancanza, possono avere paura della possibile reazione da parte del maltrattante qualora venissero scoperte, ma anche avere sensi di colpa nei suoi confronti e nei confronti dei/delle propri/e figli/e.
Oltre a questo le donne ospiti delle case rifugio sono state costrette a lasciare la propria casa, i propri oggetti, le proprie comodità e le proprie abitudini. Quando ospitate in emergenza le donne spesso arrivano alla Casa rifugio con letteralmente solo i vestiti che indossano e senza la possibilità, almeno nell’immediato, di potere andare a recuperare almeno parte delle proprie cose. Al contempo le donne, costrette a doversi nascondere e quindi a dover cambiare la propria routine, devono spesso lasciare il proprio lavoro, talvolta trovandosi anche nella condizione di dover affrontare un licenziamento, mentre ai/alle loro e figli/e potrebbe essere almeno per un periodo precluso la partecipazione alla vita scolastica. Tutto questo in una cornice in cui anche le relazioni con le proprie amicizie, la famiglia d’origine e i propri affetti si trovano a doversi interrompere.
In cambio di questi rinunce le donne ospiti ricevono protezione e sicurezza e l’impegno ed il rispetto delle operatrici e volontarie che le affiancano nel loro percorso di uscita dalla violenza. Attraverso la convivenza con altre donne possono sviluppare rapporti di solidarietà e di sostegno reciproco e così sentirsi meno sole condividendo i percorsi.
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La condizione delle donne all’interno delle case rifugio è una condizione di emergenza. L’ingresso in un percorso di ospitalità implica per le donne il dover affrontare una lunga serie di restrizioni: da qui l’impegno della Casa delle donne ad offrire a ciascuna il miglior sostegno possibile
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L’ORGANIZZAZIONE DELLE CASE RIFUGIO
La prima responsabilità del centro antiviolenza è quella di garantire la protezione e la sicurezza delle sue ospiti, ma anche delle sue operatrici e delle volontarie.
Gestire le case rifugio significa innanzitutto fornire il sostegno necessario alle donne ospiti e ai/alle loro figli e /o figlie per la riuscita di un percorso di autonomia ed empowerment costruito sulle esigenze di ciascuna ospite anche attraverso il mantenimento della relazione con le reti territoriali.
L’impegno della Casa delle donne è a tutto tondo e non conosce ferie o interruzioni: le case rifugio sono abitate in qualsiasi momento dell’anno e devono essere pronte per riuscire ad accogliere le donne in qualsiasi momento.
All’interno delle case rifugio vengono accolti anche i/le figli/e delle madri maltrattate che così ne condividono il percorso. Come per quanto accade per le ospite adulte anche i/le bambini/e che hanno bisogno di aiuto vengono sostenuti nel percorso attraverso interventi educativi mirati al loro benessere. La violenza, anche quando assistita, lascia cicatrici profonde e rappresenta un evento fortemente traumatico. I/Le bambini/e che hanno assistito a maltrattamenti e comportamenti violenti possono vivere stati di angoscia, depressione e rabbia che richiedono sostegno e accompagnamento emotivo.
Poiché le donne ospitate nelle case rifugio condividono la propria vita con altre ospiti le operatrici della Casa delle donne lavorano affinché il clima all’interno delle strutture di accoglienza rimanga positivo e privo di conflitti. A tal fine le case rifugio organizzano riunioni periodiche sia per gestire le attività e il flusso di informazioni ordinarie (nuovi ingressi, spesa, manutenzioni, turni di pulizia, etc.), ma anche per favorire lo scambio e il confronto tra le donne, promuovere la risoluzione di possibili conflitti tra le ospiti e organizzare momenti di socialità condivisa.
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I centri antiviolenza funzionano grazie anche al volontariato. Spesso i Centri non riescono ad accogliere tutte le donne che necessitano d’aiuto all’interno delle case rifugio per carenza di posti letto.
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Le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza troveranno accoglienza empatica e non giudicante che permetterà loro di sentire di poter contare su di un vero supporto per pensare a possibili vie d’uscita dalla violenza.
Parte fondamentale del processo di presa in carico è costituita dalla valutazione del rischio di recidiva alla violenza che la donna sta correndo, così da poter predisporre nel minor tempo possibile l’attivazione delle reti territoriali e mettere in campo una apposita strategia di sostegno.
Per fare questo le operatrici della Casa delle donne hanno a disposizione sia alcuni strumenti strutturati sviluppati all’interno della comunità scientifica (come il metodo SARA), che strumenti propri, prodotti direttamente dal bagaglio di competenze ed esperienze sviluppate dall’organizzazione nel corso degli anni di attività.
In generale la valutazione del rischio mira a comprendere le circostanze entro cui la violenza contro la donna e/o i/le suoi/sue figli/e sia stata esercitata, cercando di comprendere la probabilità che tali atti si ripresentino e ripetano. Fondamentale nel processo di valutazione è la conseguente capacità delle operatrici di prendersi carico della gestione del rischio, individuando – assieme alla donna – le strategie di intervento più appropriate per prevenire la recidiva, proteggere le vittime, evitare l’escalation dei comportamenti maltrattanti.
Rilevare il rischio non significa soltanto focalizzarsi sulla donna che ha subito violenza, ma impone anche di mettere a fuoco i comportamenti del maltrattante valutandone la possibilità che possano esserci delle recidive. Solo in questo modo è infatti possibile fare emergere i fattori di rischio rilevanti in modo da riuscire a monitorarli in maniera efficace.
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La valutazione del rischio ha come obiettivo generale quello di prevenire la violenza, non quello di prevederla.
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IL METODO SARA (Spousal Assoult Risk Assasment)
Il metodo SARA valuta il rischio di recidiva e di omicidio nella violenza da partner (o ex) che le donne maltrattate corrono, attraverso una serie di colloqui e la raccolta di informazioni relative alle violenze subite. Questa metodologia di rilevazione, sviluppata in Canada negli anni ‘90, è ad oggi riconosciuta ufficialmente tra le fonti valutabili anche nei percorsi giudiziari perché permette di ottenere una lettura considerata altamente affidabile dei comportamenti degli uomini maltrattanti.
ll metodo SARA si fonda sull’assunto che la violenza rappresenta una scelta ben precisa esercitata dal maltrattante in un certo momento della sua relazione con la propria partner o ex-partner. Tale scelta può essere influenzata da una serie di fattori individuali, sociali, biologici e neurologici. Per riuscire a individuare un adeguato piano di gestione del rischio è pertanto necessario riuscire ad individuare i fattori che hanno influenzato la scelta della violenza e tenerli adeguatamente monitorati per prevenire possibili recidive.
Il metodo consiste nella somministrazione di una serie di domande costruite su più fattori di rischio, che riguardano sia il presente che il passato. Il quadro che emerge dall'indagine permette alle operatrici, appositamente formate sull'utilizzo dello screening SARA, di stabilire se la situazione che la donna sta vivendo è a basso, medio o alto rischio di violenza gravi e ripetute.
Il metodo SARA permette anche alla donna stessa, con l'aiuto dell'operatrice, di prendere coscienza dei rischi che sta vivendo, dato che i traumi ripetuti che ha subito possono avere come conseguenza la minimizzazione delle violenze. La versione più utilizzata attualmente del SARA è quella a 15 fattori di rischio raggruppati all’interno di tre macro aree:
- I comportamenti violenti agiti dal partner (o ex-partner) come, ad esempio, le gravi violenze fisiche e sessuali, il controllo coercitivo, le minacce, la violazione di misure cautelari etc.
- L’adattamento psicosociale del maltrattante come, ad esempio, la presenza di precedenti penali o condotte anti-sociali, l’abuso di sostanze, la presenza di problemi relazionali etc.3
- Alcuni fattori di vulnerabilità della donna, come eventuali problemi di natura psicofisica o dipendenze, un estremo terrore nei confronti del reo, l'assenza di servizi adeguati sul territorio, scarsa mobilità della vittima, etc.
Il metodo SARA – come tutte le metodologie di valutazione del rischio - non risolve il problema dei maltrattamenti e non costituisce l’unica strategia di prevenzione, ma rappresenta una procedura necessaria per l'intervento in rete a supporto delle vittime, andando a costruire un linguaggio comune tra operatrici/tori dei diversi servizi, e in particolare delle Forze dell'Ordine migliorando anche la raccolta di informazioni ai fini giudiziari a tutela delle vittime e a contenimento dell'autore delle violenze. La valutazione del rischio attraverso il metodo SARA è citata nei piani nazionali contro la violenza, compreso l'ultimo 2017-2020, dove è prevista l'istituzione di un apposito Tavolo sulla valutazione del rischio.
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I metodi di valutazione del rischio permettono di ottenere una lettura più chiara degli agiti violenti degli uomini maltrattanti utile a prevenire le recidive e sviluppare strategie di protezione delle donne in pericolo.
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IL PIANO DI PROTEZIONE
Una volta completata la valutazione del rischio che le donne e i/le loro eventuali figli/e corrono all’interno della relazione con il maltrattante è cruciale procedere alla definizione di piano di protezione che consenta loro il migliore accesso possibile a programmi di aiuto.
Tale piano verrà costruito dalle operatrici della Casa in collaborazione con la rete dei servizi territoriali ed in accordo con la donna che necessita di protezione.
In particolare le operatrici della Casa esamineranno il grado di pericolo entro cui la donna si trova, per valutare insieme a lei se sia necessario provvedere ad un allontanamento immediato dall'ambiente violento. Verranno quindi valutate le risorse naturalmente a disposizione della donna (ad es. presenza, o meno, di una rete famigliare o amicale attivabile) o la possibilità di poter accedere ad una sistemazione in una casa rifugio.
Nel caso la donna vivesse già da sola ma fosse vittima di persecuzioni il piano di protezione prevederà la messa in campo di tutte le misure cautelari necessarie per la messa in sicurezza della donna e dei/delle suoi/e figli/e
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Ogni donna ha diritto ad essere sostenuta nell’uscita dalla violenza attraverso l’individuazione del percorso per lei migliore. Tale percorso è costruito da una analisi capace di combinare in maniera efficace la valutazione dei suoi bisogni, i fattori di rischio e le risorse a sua disposizione.
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Il trafficking o tratta di esseri umani è una forma moderna di schiavitù e “designa il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza, attraverso la minaccia e il ricorso alla forza o ad altre forme di coercizione, attraverso il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di autorità o di una situazione di vulnerabilità o attraverso l’offerta o l’accettazione di pagamenti o vantaggi al fine di ottenere il consenso di una persona che esercita un’autorità su un’altra ai fini di sfruttamento” (Comitato Speciale delle Nazioni unite, 6 ottobre 2000)
La tratta (trafficking) oltre al reclutamento e al trasporto di esseri umani implica il loro sfruttamento nel Paese di destinazione. La tratta non è necessariamente transnazionale ma può avvenire anche all’interno di uno stesso paese. Essa costituisce una violazione dei diritti umani.
Una volta a destinazione alla vittima vengono sottratti i documenti di identità e viene sottoposta a sfruttamento e violenze. Lo sfruttamento può consistere in: prostituzione forzata, lavoro forzato, accattonaggio, pornografia, prelievo di organi, impiego in attività criminali.
Le violenze subite e lo stato di rischio continuo a cui la donna vittima di tratta è esposta intaccano il suo senso di controllo, di relazione e di integrità del sé.
Il lavoro in strada o in appartamento al fine della prostituzione è per le donne un’esperienza di violenza quotidiana. Le vittime di tratta vivono nel nostro paese senza documenti o riconoscimento legale. Questa condizione le condanna all’incertezza, insicurezza e mancanza di qualsiasi forma di tutela esponendole a comportamenti violenti agiti da tutti coloro che sono coinvolti nel fenomeno: violenze fisiche e sessuali, minacce, insulti, retate, espulsioni e internamenti nei Cie.
La prostituzione in Italia è spesso esercitata da giovani donne che vivendo in situazioni di difficoltà nel proprio Paese, accettano proposte di lavoro all’estero cadendo così nella rete dei trafficanti che con metodi di assoggettamento fisico e psicologico le obbligano a prostituirsi sottraendo loro i guadagni. Non parliamo in questo caso di prostitute. Il termine corretto è PROSTITUITE.
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Il fenomeno della tratta è in continuo cambiamento sia per quanto riguarda le donne che cercano aiuto che per quanto riguarda le modalità di “reclutamento” delle vittime e le modalità di assoggettamento e sfruttamento.
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L’IMPEGNO DI CASA DELLE DONNE PER LE VITTIME DI TRATTA
La Casa delle donne per non subire violenza riconosce le donne coinvolte nel fenomeno della tratta e dello sfruttamento innanzitutto come vittime di violenza.
- L’impegno della Casa delle donne inizia alla fine del 1993 quando fu contattata dalla Polizia con la richiesta di ospitare in emergenza, ragazze straniere fuggite dagli sfruttatori che avevano denunciato per averle introdotte in Italia e fatte prostituire.
- Nell’aprile del 1995, fu attivato il progetto “Garantire alle donne il diritto a non prostituirsi” per accogliere donne straniere, clandestine, vittime di tratta e sfruttamento della prostituzione. Ideatore e titolare del progetto fu il Comune di Bologna e gli enti attuatori: “Casa delle donne per non subire violenza” e “Caritas Diocesana” per gestire l’accoglienza, e l’associazione “Ritorno al futuro” per gestire le borse lavoro e l’inserimento lavorativo.
- Nel 1998 è stata introdotta la nuova legislazione sull’immigrazione e con essa la possibilità per le donne vittime di tratta di ottenere il “permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale” poi convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
- L’attività del progetto è continuata con la nuova denominazione di “Progetto Delta”. In seguito integrato nel Progetto regionale denominato “Oltre la strada“ che coinvolge sette province dell’Emilia Romagna e relativi Enti Locali e Associazioni.
- Attualmente gli enti attuatori di “Oltre la strada” sono, oltre a Casa delle donne, la Comunità Papa Giovanni XXIII e l’Associazione Mondo Donna.
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Il servizio Oltre la strada è un progetto chiamato a rispondere a una complessità di fattori legati alle migrazioni, alla lotta alla violenza, allo sfruttamento e alla clandestinità
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USCITA DALLO SFRUTTAMENTO
L’aspetto più caratterizzante la legislazione italiana in materia di tratta di persone è l’art.18 del Testo Unico sull’Immigrazione, Dlgs 286/98, conosciuto anche come Legge Turco-Napolitano che riguarda lo straniero che sia stato vittima di “situazioni di violenza o di grave sfruttamento” e per il quale esistano “concreti pericoli per l’incolumità” a causa del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di un’organizzazione criminale o a causa delle dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale.
Ulteriore strumento di tutela delle vittime di tratta in Italia è la Legge 228/2003 denominata anche “Misure contro la tratta di persone” che introduce nel nostro statuto il reato di tratta e determina maggiore tutela per le vittime di tratta
Fondamentale per l’attuazione di un percorso di uscita dallo sfruttamento e dalla tratta è l’applicazione dell’art.18 T.U.L.I. che prevede come l’inserimento della vittima di tratta in un percorso di protezione sociale e l’ottenimento di uno speciale permesso di soggiorno che le consentirà un progressivo reinserimento sociale e lavorativo.
- Accoglienza protetta presso case di fuga o in autonomia abitativa
- l’ottenimento di uno speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale che può essere rinnovato e successivamente convertito in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio.
- un percorso di inserimento socio-lavorativo.
Un percorso ha una durata variabile che va da uno a due anni. Obiettivo finale, che costituisce la conclusione di un percorso, è il raggiungimento di un sufficiente livello di autonomia personale, economica e abitativa
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La Casa delle donne attua in conformità alla normativa vigente, programmi di regolarizzazione e inclusione socio-lavorativa di donne vittime di tratta e sfruttamento
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Il percorso di uscita proposto dai centri antiviolenza si fonda innanzitutto su di un processo che mette al centro la crescita e l'assunzione di consapevolezza delle donne. Obiettivo dei centri è dunque quello di accompagnare le donne in un processo di empowerment (rafforzamento) attraverso la costruzione di un’alleanza positiva in grado di infondere loro il coraggio necessario per modificare la propria vita e/o prendere provvedimenti nei confronti del proprio partner/ex partner violento.
La metodologia di aiuto della Casa si fonda quindi sul rafforzamento dell’identità e dell’autostima della donna mettendola nella condizione di decidere per sé stessa e di riprendere in mano il proprio progetto di vita. Inoltre, la metodologia dell’empowerment lavora sulla socializzazione delle donne attraverso la costruzione di relazioni tra loro che possano essere risorsa per sostenersi e motivarsi nella scelta di vivere una vita senza violenza.
Il processo di empowerment è fondamentale per le donne al fine di permettere loro di riguadagnare potere e controllo sulle proprie vite al fine di lasciare l’uomo violento o per trovare efficaci modalità di cambiare una relazione impari, in caso decidessero di non lasciarlo.
Questo approccio d’aiuto è validato da molte organizzazioni internazionali ed è considerato una buona prassi da impiegare da parte degli Stati: il processo di empowerment viene, per esempio, esplicitamente citato dalla Convezione di Istanbul del 2011.
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L’uscita dalla violenza spesso è legata ad una crescita e un empowerment delle donne che riconosce l’importanza di restituire alle donne fiducia in loro stesse e riprendere il controllo delle loro vite.
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L’IMPORTANZA DEL SERVIZIO DI ORIENTAMENTO E ACCOMPAGNAMENTO AL LAVORO
Il Servizio di orientamento e accompagnamento al lavoro supporta le donne nel complesso rapporto con il mondo del lavoro veicolando la sperimentazione di sé in uno spazio-tempo protetti, mediando così il passaggio dalla realtà del Centro a quella del Mercato. Lo scambio con le donne avviene attraverso la pratica della metodologia dell’accoglienza, fondata sulla relazione di fiducia tra donne e volta a promuovere la ri-acquisizione del potere decisionale. Ciò nel rispetto dei tempi di ciascuna, offrendo un supporto non giudicante e riservato.
L’orientamento al lavoro è di forte impatto per la fuoriuscita dalle violenze: se da un lato il mondo del lavoro si conferma sessista e iniquo dall’altro, per la maggioranza delle donne, attivarsi nella ricerca di un impiego rappresenta l’occasione per sottrarsi alla situazione di stallo e apparente immobilità che caratterizza il momento successivo all’emergenza determinata dai maltrattamenti. Comporta una ricostruzione concreta della propria vita e di quella da offrire alle proprie figlie/i. Ricercare attivamente un lavoro, formarsi, “occuparsi”, determina l’aumento della fiducia in sé, la possibilità di avere un reddito, di rompere l’isolamento socioculturale permettendo alla donna di uscire dalla sfera domestica ed irrompere nello spazio pubblico come soggettività competente.
L’accesso al Servizio è mediato dal contatto con gli altri settori/servizi della Casa con cui si collabora in sinergia, mantenendo la centralità della donna, protagonista della propria progettualità, co-ideata con il suo consenso e per il suo vantaggio.
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Il lavoro per le donne che accedono al Centro, nutre l'autostima, comporta una nuova socializzazione di sé e un reddito. Ciò permette di riallargare i propri spazi d'azione e recuperare autonomia economico-abitativa. L'accresciuta fiducia in sé e la forza economica risultano protetti rispetto alla possibile reiterazione delle violenze e rendono l'orientamento al lavoro fondamentale all'interno dei Centri antiviolenza.
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L’USCITA DALLA VIOLENZA: UN PERCORSO SEMPRE LINEARE?
Molto spesso ci si domanda come mai le donne vittime di violenza decidano di rimanere o di tornare con gli uomini maltrattanti. Questo tipo di obiezione deriva da una lettura lineare dei percorsi di uscita dalla violenza, che ha il difetto di non comprendere appieno la multidimensionalità del percorso e l’impegno che viene richiesto per determinare un cambiamento ad ogni donna che ne viene coinvolta .
Le operatrici della Casa delle donne sono invece perfettamente consapevoli dell’insieme di fattori che accompagnano i percorsi d’uscita dalla violenza e sono pertanto preparate a sostenere le donne ad ogni curva, cambio di direzione e rimessa in discussione del progetto originario.
Tra i vari fattori che determinano la decisione relativa al rimanere o tornare con gli uomini maltrattanti si possono annoverare: la paura per la propria sicurezza, la difficoltà a gestire le perdite tangibili ed immediate legate alla necessità di allontanarsi dalla propria abitazione e dai propri affetti, la difficoltà a doversi confrontare con una possibile perdita nei guadagni e della sopravvivenza economica, ma anche le difficoltà che le donne possono incontrare nel proprio percorso d’aiuto, le risposte più o meno appropriate ricevute dalle diverse agenzie rispetto ai loro bisogni.
Uscire dalla violenza non è quasi mai un percorso lineare. Per questo motivo alla Casa delle donne si opera un'accoglienza rispettosa e non giudicante delle scelte compiute dalle donne e per questo si portano avanti programmi volti a restituire alle donne la prima cosa che la violenza toglie loro: la fiducia in loro stesse, il controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte, la capacità di provvedere ai propri bisogni, la capacità di riconoscersi come parti di una rete e di immaginarsi al di fuori della solitudine che spesso accompagna la violenza.
Lavorare sull’empowerment delle donne significa dunque proprio questo: attrezzarle affinché possano uscire dai loro vissuti violenti alle loro condizioni, nel rispetto dei loro bisogni e di quelli dei/delle loro figli/e, maturando la consapevolezza di essere in grado di potere farsi carico del proprio percorso di cambiamento.
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Uscire dalla violenza non è un percorso semplice. Le operatrici sostengono le donne nel loro processo di autodeterminazione e lavorano per rafforzare la capacità delle donne a perseguire una vita libera dalla violenza
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In questa sezione presentiamo alcuni dati relativi all’impegno della Casa delle donne estrapolati dalla relazione di fine attività del 2019
Accoglienza (2019)
Donne accolte > 916
Donne che hanno subito violenza > 692
Donne che hanno sporto denuncia >154
Donne che dal 1990 al 31 dicembre 2019 hanno contattato Casa delle donne a causa della violenza subita > 12.911
Donne ospitale dalle case rifugio (2019)
Ospiti nelle case emergenza, case rifugio e alloggi di transizione > 158
donne > 79
bambini/e > 78
Totale posti letto offerte dalla Casa delle donne > 59
Volontariato, colloqui, sostegno telefonico (2019)
Ore di volontariato svolti alla Casa delle donne > 16.970 (8 volontarie del servizio civile e altre 68 volontarie)
Operatrici attive nei vari servizi: 25
Colloqui svolti > 1.169
Ore di sostegno telefonico > 2704
Eventi di prevenzione svolti: 7 progetti totali + 3 convegni internazionali
I centri antiviolenza funzionano grazie al volontariato. Spesso i centri non riescono ad accogliere tutte le donne che le donne che necessitano d’aiuto all’interno delle case rifugio per carenza di posti letto.
Servizio di accompagnamento al lavoro (2019)
48 donne accolte dal servizio di cui 16 italiane e 32 straniere
Il servizio ha realizzato, tra le altre azioni, uno sportello lavoro aperto 7 ore a settimana ed implementato 12 tirocini per la mediazione all’occupazione, della durata di 3 mesi ciascuno con una indennità di 450 euro al mese. Le aree di destinazione dei tirocini sono state: ristorazione, pulizie, organizzazione , eventi, segreteria, reception, vendite, sartoria. 3 dei tirocini hanno prodotto il proseguo del rapporto instaurato tramite assunzioni.
Servizio specialistico di psicologia (2019)
Nel 2019 sono state seguite un totale di 88 situazioni:75 donne, 7 coppie di genitori e 6 minori (di cui 2 in affido/tutela al Servizio Sociale)
Si precisa che per la presa in carico per il sostegno psicologico di un minore è necessario il consenso di entrambi i genitori.
Percorsi di psicoterapia 33 (adulti) 6 (bambini)
Sostegno alla genitorialità 46
Percorsi di consulenza/ Psicodiagnostici 3
Oltre la Strada (2019)
15 nuove donne prese in carico per un totale di 30 donne seguite dal servizio
414 colloqui
Il dato sicuramente più interessante riguarda l’attività di collaborazione con la Commissione richiedenti protezione internazionale. Come si può notare infatti, nel corso del 2019 sono state inviate al centro antitratta per una valutazione 41 donne presunte vittime di tratta. Con ciascuna donna sono stati svolti una media di 3 colloqui per un totale di circa 120 colloqui in seguito ai quali è stata prodotta una relazione tecnica circa la possibilità o meno che le donne fossero vittime di tratta. Nel 2018 gli invii sono stati 15 per un totale di 36 colloqui. Questo denota l’importante lavoro di raccordo, sia a livello regionale che Comunale con la Prefettura che nel corso dell’anno si è intensificato attraverso incontri, convegni e Tavoli di raccordo tra i due sistemi di protezione
Formazione e sensibilizzazione (2019)
774 studenti e 8 insegnanti raggiunti attraverso l’attività interventi di prevenzione primaria e secondaria nei contesti educativi 2019
Partecipazione a 3 convegni internazionali
Partecipazione a più di 20 giornate formative seguite delle operatrici della Casa come attività di
13 momenti di formazione sui temi della violenza offerte da socie e operatrici, oltre alle attività svolte nelle scuole
Promozione, comunicazione, fundraising (2019)
Organizzazione e/o partecipazione di numerosi eventi cittadini, nazionali e internazionali
Gestione della comunicazione della Casa delle donne anche attraverso i canali social
Organizzazione dell’edizione 2019 del Festival della Violenza Illustrata “Vite in movimento” che ha visto l’organizzazione di 62 eventi ed iniziative culturali attraverso la collaborazione con 70 tra enti, associazioni, mondo profit e gruppi informali per un totale di oltre 6 mila persone raggiunte